mercoledì 8 settembre 2010

Avete rotto il cazzo con Sakineh


Sakineh muore e l’Occidente balla. L’Occidente di Guantanamo e Abu Ghraib. L’Occidente della pace e della libertà e dei diritti umani. Del colonialismo e della guerra preventiva. Invece Sakineh è viva, chiunque essa sia, grazie a Dio, mentre l’unica lapidazione in corso è quella mediatica al buon senso.
Mappamondo alla mano. La pena di morte per lapidazione è prevista, oltre che in Iran, anche in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Nigeria, Pakistan, Sudan, Yemen, Indonesia, Afghanistan, Somalia. Lo scorso ferragosto il nostro Occidente progressista era impegnato a parlare di calciomercato e di appartamenti a Montecarlo. Nell’Afghanistan “liberato”, dove ora vige, grazie alle nostre bombe, pace, amore, democrazia e progresso, una coppia è stata giustiziata a sassate. Il giorno dopo una ragazzina, la cui unica colpa è stata quella di essere rimasta incinta, per poco non subisce lo stesso trattamento. Ma è del 2008 il caso forse più eclatante di lapidazione moderna. Somalia. Una ragazzina di 13 anni, anch’essa rimasta incinta in seguito ad uno stupro, viene uccisa a sassate nello stadio di Chisimaio al cospetto di 1000 spettatori. In questi casi zero mobilitazioni, appelli, girotondi. Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana che rischia la lapidazione per adulterio e, secondo alcuni, per concorso nell’omicidio del marito, ha avuto più fortuna. Perché?

La mobilitazione internazionale a favore di Sakineh, oltre a soffrire un’evidente strumentalizzazione politica alimentata dall’onda emotiva, avrebbe un buon motivo d’essere legato alla contestazione della modalità d’esecuzione e cioè la lapidazione che è una barbarie che va oltre la pena di morte. Ma se Sakineh non ha ancora subito questa aberrante forma di tortura è perché, di fatto, la lapidazione non può essere eseguita. Oltre ad essere una pratica deprecata dal Governo, non potrà essere messa in atto in quanto è l’intero caso che vede coinvolta l’accusa di adulterio di Sakineh ad esser stato sottoposto a riesame, come più volte ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano Ramin Mehmanparast. Il quale tiene inoltre a precisare che la donna rischia sì la pena di morte per concorso in omicidio ma non per lapidazione.
La lapidazione è difatti una pratica che in Iran è sospesa da anni. Essa sopravvive soltanto in pochissime zone rurali della Repubblica Islamica, ma che è in via di sradicamento. Per di più la responsabilità della condanna di Sakineh parrebbe non dipendere direttamente dall’Iran. Chi avrebbe giudicato e condannato Sakineh non sarebbe stato il Governo Iraniano o qualche fanatico ajatollah, né tanto meno il regime di Ahmadinejad, ma un Tribunale locale nella regione autonoma di Tabriz.

Tuttavia, la mobilitazione internazionale, si opporrebbe anche alla condanna a morte in sé, poiché Sakineh, se non si fosse ancora capito, gode di un trattamento mediatico diverso, attrae più attenzione di tutte le altre vittime perché donna iraniana e perché assunta a simbolo di progressismo liberale contro la barbarie e l’inciviltà dell’ennesimo stato canaglia inserito nella lista nera dell’Occidente. Lo stesso Occidente alfiere di pace, amore, libertà e democrazia. Tutti valori buoni per giustificare una guerra preventiva. Ecco quindi giustificato il bersaglio emotivo da dare in pasto alla massa altamente suggestionabile. Un lasciapassare intimamente subdolo pronto a giustificare quel sostrato culturale collettivo fatto di suprematismo identitario e morale paventato da qualsiasi forma di imperialismo, culturale o militare che sia, di buona o cattiva fede. E tutte le altre vittime morte lapidate, frustate, impiccate in giro per il mondo? Chissenefrega. Qui, se non si fosse ancora capito, è in gioco molto di più che una semplice vita umana, a seconda del contesto, sacrificabile o meno.
Ma al di là della strumentalizzazione politica rimane in sospeso la questione ontologica. Sono molti i paesi al mondo nei quali vige la pena di morte. Non vale la pena ricordarli tutti, naturalmente fatta eccezione per gli Stati Uniti, nazione portabandiera di quei valori Occidentali ritenuti superiori che noi per primi intendiamo far rispettare, se non esportare, anche in casa degli altri. Tuttavia, nel caso dell’Iran, la mobilitazione si fa massiccia, ipertrofica, muscolare, anche se in alcuni casi persino demenziale. Vedi il coinvolgimento dei soliti paladini d’occasione: Totti, per l’Italia, Carla Bruni, per la Francia, guarda caso il primo ed il secondo partner economico dell’Iran in Europa. Ad ogni modo il messaggio che l’Occidente lancia all’Iran è il seguente: liberate Sakineh, ora e subito, senza se e senza ma.
Quello che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale non sa o fa finta di ignorare è che l’Iran non ha nessun obbligo giuridico nei confronti dell’Occidente, altrimenti facciamo passare il concetto che le sentenze di un Tribunale iraniano sui fatti che quel Paese considera reati gravi sono da sottoporre sistematicamente al “Tribunale Popolare dell’Occidente”, magari composto da nazioni che allo stesso modo applicano la pena di morte secondo i propri principi di giustizia. Inoltre, nel caso di Sakineh, non ci riferiamo ad un prigioniero politico ma ad una persona incriminata per reati comuni.
L’Iran, che è uno stato sovrano, per quanto lontano dai nostri principi morali – che non sono universali e sovrapponibili a qualsiasi realtà del pianeta – ha tutto il diritto di amministrare la legge seguendo i propri principi giuridici senza subire l’ingerenza di noi occidentali che tra le tante cose non siamo assolutamente idonei in fatto di lezioni morali. Guantanamo, Abu Ghraib, guerre preventive, nefandezze che si commettono in Africa tra alleanze con stragisti, commercio di armi, speculazione umanitaria e deposito di scorie radioattive. Eccetera eccetera eccetera.
Per chi volesse approfondire l’argomento prosegua pure nella lettura:
Spero di non essere l’unico ad essermi accorto della patina misteriosa che sembra aleggiare attorno alla vicenda di Sakineh. Una storia che sembra seguire il copione di un giallo hollywoodiano. Dall’identità del figlio a quella dell’avvocato, sfuggenti, così come la validità delle notizie che ci pervengono dall’Iran, un paese ora totalmente censorio, ora inaspettatamente permeabile di indiscrezioni e retroscena a favore della cronaca occidentale: tutto sembra provenire da fonti non del tutto attendibili. Una soap opera tragicomica che non è oggettivamente possibile esporre rispettando i minimi requisiti di deontologia giornalistica.
Inoltre i capi d’accusa mossi nei confronti di Sakineh non sono ancora del tutto chiari. Si parla di adulterio, ma anche di concorso in omicidio (secondo alcuni disumano e brutale perpetrato dall’amante di Sakineh, del quale non si sa quasi nulla). A differenza della stampa Italiana, in Iran non vengono pubblicati i particolari morbosi dei delitti efferati. Malek Ejdar Sharifi, un giudice che si è occupato del particolare caso giudiziario, ha quindi dichiarato: «Non possiamo rendere noti i dettagli dei crimini di Sakineh, per considerazioni di ordine morale ed umano. Se il modo in cui suo marito è stato assassinato fosse reso pubblico, la brutalità e la follia di questa donna verrebbero messe a nudo di fronte all’opinione pubblica. Il suo contributo all’omicidio è stato così crudele ed agghiacciante che molti criminologi ritengono che sarebbe stato molto meglio se lei si fosse limitata a decapitare il marito». Naturalmente non possiamo fidarci nemmeno di queste ricostruzioni sommarie, alle quali si aggiungono nuovi particolari. Sembrerebbe che, preclusa la possibilità di perseguire la donna per omicidio, a causa del perdono dei figli, i giudici abbiano deciso di giocare la discutibile carta dell’accusa di adulterio. Scelta indubbiamente deprecabile sul piano procedurale: infatti il processo sarebbe in fase di revisione.
A prescindere dal gossip giornalistico, dalle notizie aleatorie, dalle implicazioni politiche e culturali, a proposito del caso Sakineh sono assolutamente persuaso di due cose.
1) Anche se i capi d’accusa fossero dieci volte più gravi, la donna iraniana non dovrebbe meritare la pena di morte, né tanto meno per lapidazione.
2) Noi Occidente dobbiamo imparare a farci i cazzi nostri.
Affermazione cinica e dolorosa, me ne rendo conto, anche se altrettanto doverosa. Perché in questi casi non possiamo fare niente, se non usando le maniere forti. E quindi autenticando con i fatti un’arrogante ingerenza che fa appunto riferimento ad un vizio oscuro tutto occidentale e cioè quel bisogno cronico, instillato nel dna di ciascuno di noi, di imporre la nostra cultura a realtà diverse dalla nostra.
In questo caso fortunatamente non si rischia l’intervento militare, e ci mancherebbe. La mobilitazione rimane “a parole” e prende l’innocua forma (anche se intellettualmente pericolosa) di una battaglia incentrata più che altro sull’autocelebrazione e sulla solidarietà virtuale e mediatica. A meno che, mentre scrivo, non ci siano delle brigate occidentali di belle anime che a mia insaputa sono partite per una crociata alla volta di Teheran. A voi risulta qualcosa di questo genere?

Al di là delle battute è opportuno dibattere su argomenti più seri. L’Iran è il tipico esempio di un paese nel quale si scontrano valori tradizionali, se vogliamo anche retrogradi e disumani, e valori occidentali, più progressisti. Vi sono fette di popolazione che rivendicano istanze democratiche, diritti e libertà, ma ve ne sono altrettante, se non maggiori, che difendono la teocrazia. Naturalmente la nostra percezione dello scontro è filtrata non solo dal nostro animo fisiologicamente propenso alle forze più moderne del paese, ma anche dal ritratto sicuramente mediato dagli organi d’informazione di massa gestiti dai networks occidentali.
Oltretutto in Iran non vengono solamente giustiziate le donne adultere, ma anche gay e dissidenti politici in modalità altrettanto barbare. L’intero sistema giuridico è inoltre imperniato su logiche che nulla hanno a che vedere con i criteri di giustizia occidentale. Senza contare che tutto ciò viene legittimato da un clima culturale ed intellettuale che non intende retrocedere di un centimetro. Ma non dimentichiamoci del potere politico, anch’esso votato all’autoconservazione, che se sollecitato, ha saputo rispondere alle sacche di resistenza con una repressione violenta, degna di una qualsiasi dittatura. Per questi motivi dovremo allora auspicare ad un intervento dell’Occidente? Io dico di no.
L’Occidente e l’opinione pubblica hanno tutto il diritto di augurarsi una modernizzazione dell’Iran. Tutt’altra cosa è l’organizzare un’intrusione volta a delegittimare la leadership politica (a prescindere della credibilità della stessa). Che si tratti di un intervento militare o di un embargo o di un’intromissione diplomatica stiamo ugualmente parlando di un’ingerenza illegittima negli affari interni di un paese straniero sovrano. È vero che in questo modo faremo il bene e il volere di una parte del popolo iraniano che reclama la rivoluzione, ma ciò significherebbe allo stesso modo infrangere una serie di diritti contenuti nei nostri ordinamenti e che noi stessi consideriamo inalienabili (e se la Cina un giorno si svegliasse credendo di essere nel giusto e ci invadesse?).
In Iran esiste sicuramente una fascia di popolazione, per lo più ricca, borghese ed inurbata, che si identifica negli ideali occidentali – la stessa che formò la base del potere dello scià assieme all’appoggio americano – ma sfortunatamente per gli esportatori della democrazia esiste anche una buona parte del paese che esprime tutt’altri valori. Le cronache ci narrano di dieci milioni di persone che attendevano l’arrivo in aeroporto di Khomeini. Per non parlare delle folle oceaniche che tuttora accompagnano le sfilate di Ahmadinejad e le manifestazioni in suo favore. Aneddoti che ci spiegano come esista un Iran che le televisioni non ci mostrano. Un Iran contadino, povero, senza nessuna voce in capitolo in ambito internazionale che di certo si identifica maggiormente sui principi teocratici piuttosto che su quelli occidentali. Nello scontro tra tradizione e modernità vedremo quali valori prevarranno. Nel frattempo mi auguro che il nostro ruolo si mantenga quello del semplice spettatore che oltre ad essere quello ontologicamente più genuino è nella pratica anche quello più consigliabile.

Basti pensare all’Iraq attuale, che tuttora si giova della libertà, della pace e della democrazia che abbiamo esportato senza torcere un solo capello. Ma la storia ci narra anche dell’altro. Ricordate? Quando l’Occidente si oppose alla vittoria degli iraniani nella guerra contro gli iracheni che li avevano aggrediti riuscì solamente ad allungare la lunghezza del conflitto di altri 3 anni, causando 1 milione di morti in più. Senza contare che in questo modo quella buonanima di Saddam Hussein poté fuggire con il suo bel bottino di armi che gli consentirono di rafforzare in patria la propria leadership, esempio cristallino di democrazia e libertà, oltre che invadere il Kuwait.
Ergo: meglio starsene a casa, perché quando l’Occidente si muove combina solo guai. E l’elenco sarebbe molto più lungo delle due acche qui esposte. Inoltre c’è da interrogarsi sulla sincerità delle motivazioni che accompagnerebbero un eventuale intervento in favore di un Iran più libero e moderno. Perché molti indizi ci consiglierebbero che la “liberazione” dell’Iran non si completerebbe di certo a titolo gratuito. Anzi, senza alcuna garanzia di carattere economico, politico o diplomatico si potrebbe certamente dire che non partirebbe nemmeno una jeep in direzione per Teheran.

Anche la storia d’Italia in questo caso ci soccorre. Siamo stati liberati dal fascismo grazie all’intervento delle forze alleate. Questo evento ci ha sicuramente accompagnato in un futuro migliore, ma che dire dei decenni passati sotto l’influenza atlantica, le intromissioni in politica interna ed estera, l’ingerenza dei servizi segreti americani, i complotti, il terrorismo, la P2, i tentativi di colpi di stato, la schiavitù commerciale, le basi militari sul territorio, il fideismo diplomatico, la spianata di campo al berlusconismo e molto altro ancora? Immaginate cosa potremmo mai farne noi dell’Iran. Sicuramente un qualcosa di simile all’Afghanistan, altro paradiso passato sotto il rullo compressore della nostra cavalcata. Noi del colonialismo all’“Arrivano i nostri!”, paladini immacolati di ideali universali ritenuti tali solo da noi stessi e che come un’usurata puttana sviliamo di fronte a qualsiasi calcolo politico, militare ed economico. Noi, talmente ubriachi della nostra retorica da credere persino alle nostre stesse menzogne, mentre danziamo in forsennati balli di San Vito per la libertà.
Conclusione:
Io credo che l’autodeterminazione dei popoli sia un valore di gran lunga superiore e più genuino dell’ingerenza di una forza straniera nei confronti di un’altra nazione, anche se in buona fede o per un nobile ideale. L’Iran, se sarà destino o se lo vorrà, riuscirà a lasciarsi alle spalle le proprie atrocità e le proprie barbarie altrimenti è giusto, anche se moralmente poco accettabile dal nostro punto di vista, che continui ad amministrare le proprie regole come meglio crede, per quanto ci possano apparire aberranti. Del resto, tornando all’argomento principale, stiamo pur sempre parlando di una donna, di salvare una sola vita umana e non di rovesciare un intero ordine costituito. E allora perché la popolazione iraniana non riesce a sbrigarsela da sola? Perché Sakineh e suo figlio sono drammaticamente costretti a chiedere aiuto a noi pericolosi occidentali anziché ai propri concittadini? Un’elemosina umanamente pietosa anche agli occhi di chi come il sottoscritto ce la mette tutta nell’ostentare una distaccata freddezza, tutta occidentale, mentre il cuore pretenderebbe dell’altro.
E cosa sono tutti questi appelli dilatati dai media se non una propaganda che fa leva sull’ingenuità e sulla sensibilità di un’opinione pubblica fatta di pongo? Non ci vuole un genio della comunicazione per rendersi conto di come all’informazione serva indifferentemente una Sakineh viva e vegeta grazie al soccorso dei valori della cultura occidentale oppure morta al fine di sollevare altra indignazione verso quell’altro mondo simboleggiato dall’Iran. Al di là dell’evidente idiozia di certe manifestazioni credo sia opportuno alimentare un dibattito intellettuale appropriato ed approfondito circa tematiche di questo calibro, ma allo stesso modo mi guarderei bene le spalle dalla massiccia speculazione culturale in atto in questi giorni.
Sakineh e suo figlio facciano quindi appello agli iraniani piuttosto che a noi occidentali, satolli di retorica, autocelebrazione e superficialità (noi occidentali nello stesso tempo assetati dei proventi che ci potrebbero arrivare da un Iran occidentalizzato). Poiché il nostro è un mondo che risponde ad una cultura bifronte e contraddittoria: da una parte esibiamo un buonismo acefalo e di etichetta quando non in buona fede, dall’altra ostentiamo segretamente il comportamento bavoso di un qualsiasi altro predatore che soccorre la preda in cerca di aiuto. Se la donna avrà salva la vita, come tutti quanti ci auguriamo, allora spero che ciò avvenga grazie all’intervento del suo popolo, perché questo non solo significherebbe riportare una grande vittoria civile, ma si tratterebbe soprattutto di una conquista esclusivamente iraniana. L’unica vittoria netta e legittima. Quindi, se di tifo dobbiamo parlare, io auspico decisamente ad un risultato di questo genere.

P.S. Mentre scrivo Ebrahim Hamidi, 18 anni, rischia la lapidazione perché omosessuale. Migliaia di chilometri più in là, Teresa Lewis, americana, è stata condannata a morte per gli stessi reati imputati a Sakineh. Il 23 settembre dovrebbe essere la data dell’esecuzione. Per loro nessuna petizione, girotondi, appelli politici. Un’ulteriore conferma di come le contestazioni mediatiche collettive contro la pena di morte non siano altro che un fenomeno del tutto strumentalizzato e strumentalizzabile.
La pena di morte vige da poco anche in Europa dalla firma del Trattato di Lisbona. Secondo coloro che hanno potuto esaminare il documento, lungo 27.000 pagine, il trattato, una sorta di nuova Costituzione Europea mascherata dietro un compendio labirintico di varie legislazioni, legittima l’esecuzione capitale per punire individui che si ritengono una minaccia per l’integrità politica dell’Europa e della democrazia.
DMD

1 commento:

  1. Grande, la penso come te al 100%. Sono stanca di tutti sti appelli, aspetto con ansia che qualcuno cominci ad usare il cervello...

    RispondiElimina